Oggi la necessità di una conversione della mentalità e degli atteggiamenti è più che mai forte, se si pensa che la società è ancora dominata da forme sottili e manifeste, culturali e materiali, di esclusione di tutti coloro che non rientrano nei canoni dominanti. Bisogna riconoscere che il problema è anzitutto culturale. Faticano a crescere una mentalità e una pratica ricche di attenzione, di difesa e di salvaguardia dei diritti di ogni persona.
La battaglia di Franco Basaglia ebbe il senso di una lotta per l’accoglienza della diversità nel mondo della normalità. La chiusura di quei luoghi di sofferenza e di violenta esclusione sociale che erano i manicomi, è stato indicato dall’organizzazione Mondiale della sanità, nel 2003, come “uno dei pochi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale”. Ma la chiusura dei manicomi non era per Basaglia lo scopo finale, bensì, come ha scritto Galimberti, “il mezzo attraverso cui la società poteva fare i conti con le figure del disagio che la attraversano quali la miseria, l’indigenza, la tossicodipendenza l’emarginazione e persino la delinquenza a cui la follia non di rado si apparenta”. Per Basaglia la società doveva innanzitutto accogliere la follia, che prima di essere una malattia, è una condizione umana, e non limitarsi a curarla, e per curarla, isolarla dal mondo umano.
8 commenti:
Mio padre ha lavorato 25 anni in un manicomio, e per lui la loro chiusura non è stato un passo avanti ma uno indietro!Lui amava i suoi "pazienti", li rispettava, eppure era un semplice infermiere!E si prendeva cura di loro umanamente e non come se fossero "animali", li trattava come persone, come esseri umani. Mi dice sempre che "No i ze semi, i capisse e robe" .
Ora queste persone che hanno bisogno di aiuto sono sempre più sole e lasciate in balia di persone che non sanno come affrontarli, o peggio ancora sono in balia di loro stessi.
Ricorda che sono l'insieme di dottori, infermieri, pazienti, ecc. che costituivano il manicomio; un gruppo di persone quindi, e non le pietre e mattoni,non il luogo fisico:era un insieme di relazioni; e se in questi luoghi si era creata una forma di disagio, bisognava ri-educare questi professionisti ad approcciarsi più umanamente alle persone disagiate.
Cara Marty, io non voglio criticare le persone che lavorano in queste strutture, perchè ne ho conosciute anch'io, sopprattutto infermieri, e posso dire che come dici te, svolgevano il loro lavoro in un modo straordinario.
Io volevo criticare l'ideologia dei manicomi, dove le persone venivano rinchiuse e allontanate dalla realtà esterna.
Però ho visto che i centri d'igene mentale (almeno quelli delle mie zone), sono un po cambiati, adesso quelle persone interagiscono con il mondo esterno.
Comunque sono d'accordo con te quando dici che è l'insieme di dottori, infermieri, pazienti che formano la struttura.
Cara Marty e caro Francesco,io a differenza vostra ho vissuto esperienze diverse legatre ai manicomi. Mia mamma e una sua più cara amica hanno lavorato in un ospedale psichiatrico,e le ho sentite molte volte parlare di quei tempi;vi assicuro che non era piacevole sentirle parlare dei loro colleghi. Posso capire il fatto che a volte,questi malati,facciano cose un pò buffe e quindi ti viene da ridere,però c'erano degli infermieri che trattavano i malati non come delle persone da curare,ma come degli individui che erano pazzi,e che quindi dovevano solo essere rinchiusi,lontano dal moldo esterno. La mia idea è che indubbiamente dei centri del genere sono utili,però le persone che ci lavorano all'interno deono essere sensibili verso le difficoltà altrui,devono "affezionarsi" ed interessarsi ai loro pazientei,proprio come faceva tuo papà,Marty. Quindi,come in tutti i posti di lavoro dove si sta a contatto con persone bisognose e indifese,bisogna scegliere chi andrà a lavorare,per non causare ancora più disagi.
ma I 'Pazzi' stanno dentro o fuori dai manicomi?
Bella domanda kuijt...ci sono persone malate,che quindi a volte necessitano dei ricoveri in ospedale,e ci sono delle persone che non pensano alle conseguenze delle loro azioni...e queste persone secondo il mio punto di vista,creano più danni rispetto ai veri malati...
Cara Irene, credo che chi tratta male queste persone rivela una forma di paura al loro disagio e che forse era meglio se quella volta sceglievano un'altra professione..
credo che ci siano molti "pazzi non dichiarati" attorno a noi, e anche tanti consapevoli del loro disagio..
La "Pazzia" è uno stato o un'emozione?un modo di fare o un modo di essere? Credo che tutti almeno una volta nella vita abbiamo fatto qualcosa di Folle, magari che nessuno sa, che se reso pubblico susciterebbe l'incomprensione di chi ascolta...Forse la pazzia è legata in senso stretto alla sensibilità, alla poca forza di reagire..Forse i pazzi siamo noi che siamo troppo razionali e nascondiamo totalmente il nostro istinto..
Invito tutti a leggere "Veronika decide di morire" del grande Paulo Coelho, lui che è stato rinchiuso in un manicomio per tre volte!!
Solo perchè agli occhi della madre agiva in modo sbagliato e si ribellava alle regole..
la risposta è:
I Pazzi siamo noi se Non Cambiamo.
vedere per credere:
http://math.berkeley.edu/~galen/popclk.html
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